note biografiche:
Matteo Fraterno nasce a Torre Annunziata nel 1954, vive tra Atene e Napoli. «Mi sento più un ricercatore che un creatore », puntualizza Fraterno «La mia è una ricerca iconografica che ha sempre una qualità estetica che parte dal territorio in cui si sviluppa». Ed è così che la pietra e la sabbia lavica, il tufo, la sabbia, i rami delle ginestre diventano il materiale del territorio vesuviano con cui costruisce lavori pittorici, scultorei e installazioni, tutti dagli evidenti titoli evocativi: “Lance per il guerriero di Capestrano” del 1992, “Esplosione autunnale n. 2” del 1985, “Sculture sismografiche” del 1984. “Artista nomade”, che oggi vive in Grecia, interessandosi ad altri luoghi come la Turchia, l’Albania o la Macedonia, Fraterno si muove in un ambito che può essere individuato all’interno della ricerca “relazionale”. È cofondatore di Stalker-Osservatorio Nomade a Roma ed è il motore di ricerca di laboratori creativi fondati su pratiche relazionali e ludiche. Matteo Fraterno è interessato soprattutto alle capacità di scambio tra ambiente e abitanti, costruisce un linguaggio che si sviluppa attraverso il processo e il metodo, la relazione e l’interrelazione, fondendo ricerca sul territorio e memoria storica. Numerose le mostre d’arte delle sue opere tra cui “In-differenziati” a cura di Achille Bonito Oliva, Galleria Verengia, Salerno ; “Ritratti femminili”, a cura di Loredana Troise , Galleria Opera sant’Agata dei Goti; “Certosa” a cura di Achille Bonito Oliva , l’Amazzonia delle Arti, Studio Morra, Napoli. Partecipa a mostra collettive tra cui nel 2018 al “Giffoni film festival arte contemporanea” a cura di Valerio Falcone; “Albero della cuccagna” a cura di Achille Bonito Oliva, Padula (Salerno) ; “Rewin arte” a Napoli 1989-1990 a cura di Angela Tecce , Castel Sant’Elmo , Napoli; “Sudlab at Arte Athina”, International Art Fair, Atene. “Tendencias” , biennale di Barcellona. Partecipa a progetti di ricerca di Arte Pubblica e Interrelazionale e produce diversi Film, video e performance.
note sull’opera:
L’incontro tra i due “ Leonardo” mi ha fatto entrare negli strati sovrapposti della materia, questi ostacolavano la distanza tra me e la superficie e toglierla è stato facile, difficile verificare l’insieme scenico, il paesaggio assumeva la condizione di sogno da sveglio,”solo” con la materia morbida,umida profumata,completamente a mio agio toglievo materia dall’accumulo che precedentemente avevo steso in strati sovrapposti. Alla pari di un archeologo scavavo dentro di me l’immagine, il paesaggio, i ricordi dei miei transiti immateriali. Il risultato finale: un graffito violentemente graffiato dove la superficie a strati veniva via senza resistenza, piacevole era il gesto, una pulizia catartica interiore,l’avrei tolta tutta fino ad arrivare allo strato ultimo … L’etica ha frenato l’istinto, avevo una responsabilità: l’invito a realizzare un “graffiato”. Accettando il compromesso tra superficie e stratificazione è stato come avvolgere un nastro video della memoria,quello che avevo reso visibile nella mia mente in precedenza nella stesura degli strati . La materia e la forma una trappola per gli artisti.