note biografiche:
Pasquale Di Maso (Afragola, Na, 1961) sin da ragazzino è attratto dalla musica e dall’arte. Inizia a dipingere nella locale associazione cattolica S.S.Cuori, grazie ad un prete artista, Padre Giorgio Rivieccio, che ebbe un ruolo fondamentale nella crescita creativa del ragazzo. Da allora ha frequentato molti studi di pittori nella provincia napoletana come apprendista o ragazzo di bottega tipico. Parallelamente inizia anche la sua passione per la musica e, giovanissimo, si trasferisce a Roma dove studia e si diploma in chitarra jazz/improvvisazione alla St. Louis School. La musica lo distolse dagli studi di pittura accademica. Tornato a Napoli per sposare la sua amata compagna, inizia il suo nuovo percorso verso la pittura, soprattutto per esigenze economiche. Incomincia a produrre arte commerciale entrando nei circuiti ad essa dedicata. Nel frattempo sperimenta nuove tecniche con vari medium, tra cui risulte edilizie, smalti alchidici, pitture alla nitro… Attualmente continua a suonare, è membro stabile dei Papik di Roma, e produce opere in pittura Pop-Art. Sue opere sono presenti su: CelestePrice, FineArtAmerica, Pixels. com. Musicalmente è presente su: SoundCloud, Reverbnation, Spotify, Beatport, Applemusic.
note sull’opera:
L’ idea è quella di voler analizzare il rapporto dell’ uomo con la terra, anche nel profondo cambiamento. Per milioni di anni l’uomo ha avuto un rapporto pacifico e sostenibile, nel rispetto della convivenza con la natura. Ma nell’ ultimo secolo con l’avvento delle tecnologie, in pochissimo tempo l’ uomo ha fatto più danni di tutte le ere insieme. Con bisogno di nuove forme di energie, per alimentare nuove forme di tecnologie, ha dovuto deturpare un equilibrio perfetto durato milioni di anni, con conseguenze catastrofiche, le quali cominciamo ad assistere già oggi. (Pasquale Di Maso)
Due piedi saldi, ben ancorati al suolo. La prima cosa (e l’unica, se guardato con superficialità) che colpisce di quest’opera è la sua stabilità, un senso di sicurezza ci pervade e rasserena. Ma è una sensazione tanto sbagliata quanto effimera. L’uomo, per secoli legato alla propria terra in un rapporto di equilibrio in cui era conscio di essere la minima parte di un tutto, come i suoi biblici progenitori va oltre e coglie un frutto proibito. Una mela nera, oleosa, viene riesumata dalle viscere della terra ed entra nelle sue radici. La radice, archetipo di un acquedotto, non è adatta a mutarsi in oleodotto ma, nel delirio di onnipotenza di un Uomo-Dio, signore e padrone di tutte le cose, deve farlo. La Lucania, terra di boschi, acqua, luce, violentata e occupata da qualunque esercito e qualunque conquistatore, rivive la sua storia di terra contesa anche oggi, sotto il ricatto del progresso e del capitale. Ed ecco che, quello che in un primo momento era un brigante sdegnato e arrabbiato, un po’ alla volta diviene un Sisifo, col suo fardello e la consapevolezza di non avere scelta: l’unica maniera di rimanere ancorato alla propria terra, l’unica soluzione per non fare le valigie, è bagnarsi le radici col veleno. Ma vogliamo davvero fingere di non sapere che il veleno prima o poi finirà e lo stipendio e la “macchina grossa” non ci aiuteranno più a sopportare la vista di una natura e un mondo distrutti per sempre? Riciclare quel denaro sporco in qualche parallela e lungimirante attività di recupero dei nostri valori potrebbe essere un giusto e realistico compromesso tra la tardiva crociata di Don Chisciotte e l’eterna rassegnazione di Sisifo. (Marco Mittica)