a cura di Francesco Marano
Studi sulla parentela relativamente recenti hanno osservato che si diventa parenti attraverso il consumo comune di cibo. La commensalità è costruzione di legami, condivisione di memorie di famiglia e di paese, rafforzamento di quelli esistenti. Mangiare insieme lo stesso cibo crea un senso di appartenenza comune, di intimità culturale. Mangiare insieme con parenti o amici emigrati e temporaneamente ritornati al paese di origine è un modo di rafforzare il legame con il paese degli avi, di continuare a mantenere un legame con chi è rimasto.
Il progetto consiste in una performance collettiva di pellegrinaggio per il paese e raccolta di cucchiai. Il cucchiaio ha una forma concava, contiene, accoglie, porta il cibo dolcemente alla bocca, lo offre con cura materna. È auspicabile che i cucchiai donati siano almeno un centinaio. Con i cucchiai sarà successivamente composta un’opera. Essi saranno inseriti in un pannello metallico o ligneo o di altro materiale per ricordare il momento del pasto e per essere segno di una comunità che si nutre e vive attraverso i sui membri, l’andare e tornare del cucchiaio dalla bocca: il paese nutre e deve essere nutrito, non è memoria abbandonata o perduta accompagnata da nostalgia del passato, la commensalità, con le narrazioni spontanee delle cucine e degli orti, con il semplice essere lì, mette in scena una comunità viva e vivente. I dettagli di quest’opera saranno definiti sul momento.
Francesco Marano, antropologo e artista, insegna antropologia visuale e etnografia & arte all’Università della Basilicata. È autore di documentari etnografici premiati e selezionati in festival internazionali. La sua produzione artistica, che comprende opere di grafica, pittura e videoarte, è stata esposta a Plovdiv (Bulgaria), Timisoara (Romania), Matera (Italia). “Francesco Marano ha iniziato a sperimentare il disegno e la pittura nella seconda metà degli anni Ottanta, a cavallo tra la sua laurea al DAMS di Bologna e il rientro a Napoli. Gli anni erano quelli di una Bologna in fermento, capace di nutrire gli animi attraverso un florilegio di stimoli ma anche alla forza propulsiva data proprio dall’istituzione del DAMS. Erano gli anni anche dell’affermazione della Transavanguardia italiana di Achille Bonito Oliva (con i suoi artisti, da Chia a Paladino), di artisti come Oreste Zevola, di storici e critici d’arte come Francesca Alinovi, del Graffitismo newyorkese (da Keith Haring a Jean-Michel Basquiat) portati tra l’altro proprio in quel periodo a Napoli, città natale di Marano, dalla Galleria di Lucio Amelio. Sono, questi, riferimenti importanti per poter comprendere la poetica di Marano” (Fiorella Fiore, art curator).