note biografiche:
Eugenio Giliberti (Napoli 1954) esordisce negli anni ’80 animando un gruppo di giovani artisti napoletani (evacuare Napoli) che partecipa al fenomeno, allora prevalente, della riscoperta e del ritorno alla pittura.
Nell’aderire a quel clima tuttavia, rifiuta la via neo-figurativa, scegliendo una posizione minoritaria.
La sua ricerca prende una direzione decisamente personale a partire dal 1987, quando, con le prime superfici monocrome mette a punto i fondamenti di un edificio poetico autonomo dall’environment più prossimo. Culmine di questo segmento della sua ricerca (1996) l’opera denominata “Seicentottantamilaquattrocento quadratini colorati” (Galleria ThE, Napoli – 1996; Galleria Occurrence, Montréal – 1998; Kunstverein di Ludwigsburg – 2001; Galleria Milano, Milano – 2006), opera “combinatoria” in cui, su carta quadrettata, sviluppa tutte le combinazioni possibili di 10 colori in tre trittici. Seguono: gli “oggetti platonici” (in “la scultura italiana del XXI secolo”, Fondazione Arnaldo Pomodoro, Milano, 2010); LP- lavoro politico (in “Castelli in aria”, Museo di Castel Sant’Elmo, Napoli – 2000; “futurama”, Museo Pecci – 2000, “curriculum vitae”, Museo di Castel Sant’Elmo, Napoli – 2003).
Dal 2006, trasferitosi in campagna, fonda “Selve del Balzo”, una piccola comunità produttiva che lavora il legname prodotto dai boschi del circondario e all’occorrenza lo coadiuva nella produzione delle sue opere. La sua ricerca qui trova un particolare impulso dall’osservazione della realtà culturale e ambientale del piccolo mondo che lo circonda. Ne scaturisce una nuova serie di lavori, presentati nelle mostre personali a lui dedicate dalla Galleria Giacomo Guidi di Roma (2008 – Working Class; 2010 – Il senso di Walden).
Costante nella sua attività espositiva è l’attenzione al luogo ospitante. Da alcuni anni, infatti, in ogni nuova situazione espositiva, Giliberti compie una sorta di omaggio al luogo, raccogliendo su di esso notizie e testimonianze e realizzandone piccole riproduzioni in cera o plastilina da esporre, insieme alle altre opere, proprio nel luogo riprodotto: contenitori/contenuto, gesti di “buona educazione” che costituiscono un ulteriore ciclo di lavoro, autonomo ma perfettamente integrato nel discorso complessivo dell’opera e alla cui raccolta è stata dedicata un’intera mostra nel 2008. (in “la meccanica della meraviglia”, Darfo Boario Brescia). Nella sua personale più recente “Bisbigli nelle stanze di Aurelia”, curata da Angela Tecce (2012 – Palazzo Ducale di Martina Franca), ritorna sull’argomento con una riproduzione in plastilina dello stesso palazzo ducale, e installa nelle sale del Palazzo Caracciolo un’opera sonora: la recitazione sussurrata di una lettera di Giacomo Leopardi allo zio Carlo Antici nelle stanze che furono di Aurelia Imperiali Caracciolo, prima pregnante figura femminile dell’aristocratica potente famiglia del regno di Napoli. Attualmente è impegnato nella realizzazione di un nuovo ciclo pittorico dedicato all’antico meleto nel quale è ubicato il suo studio-masseria.
note sull’opera:
“… nella nostalgia che anima gli scritti “montemurresi” di Sinisgalli, ho sentito riverberare fantasmi di miei ricordi infantili. Persone che se fossero nate qualche anno prima avrebbero certamente popolato i suoi racconti sullo sfondo di un paese che appariva immoto e lì ho diretto il mio pensiero. In questo universo di fantastici personaggi Carminuccio si staglia decisamente sugli altri per una sua particolare predilezione. Mia nonna utilizzava i suoi servizi perché forse era un uomo forte, non so bene, i dettagli sono sbiaditi, ma certo è che a volte incrociavo Carminuccio col suo cappello bisunto nell’ingresso di casa in attesa di ricevere il premio del suo lavoro. Non so in quanto potesse consistere il suo compenso ma lo distingueva da qualsiasi altro lavoratore la forma nella quale pretendeva gli fosse corrisposto. Come noi bambini, e in particolare come me – minore tra tre – non apprezzava il valore reale del denaro ma solo la sua quantità “fisica”. Lo aveste pagato con un biglietto esagerato da 1000 lire, si sarebbe sentito certamente insoddisfatto: volete mettere un solo pezzo da mille lire con 200 pezzi da cinque lire?“